Durante uno dei pranzi con i partecipanti dell’ultimo Practitioner è venuto fuori un argomento interessante che mi ha dato da riflettere sull’uso che si può fare delle parole per unire… e per dividere.
Ripetiamo da ormai anni che le parole hanno un potere magico, citando Freud, cioè la capacità di creare rappresentazioni nella mente di chi le pronuncia e di chi le ascolta.
Quindi, se è vero che un oggetto, una sensazione o un concetto senza nome restano entità poco chiare nella nostra mente, è anche vero che dare un nome a qualcosa significa metterlo sotto un riflettore e “separarlo” dal resto.
Un esempio della prima realtà è riscontrabile nel concetto di intelligenza emotiva, tutte le ricerche dimostrano che dare un nome alle proprie emozioni permette un miglioramento nella gestione di quelle negative (per esempio Putting feelings into words: affect labeling disrupts amygdala activity in response to affective stimuli di Matthew D Lieberman 1, Naomi I Eisenberger, Molly J Crockett, Sabrina M Tom, Jennifer H Pfeifer, Baldwin M Way – 2007).
Chiama le cose con il loro nome
Secondo alcune religioni e credenze ancestrali, tutte le creature hanno un nome “pubblico”, conosciuto a tutti, e un “Vero Nome” o “Nome Segreto”. Conoscere il Nome Segreto di una creatura darebbe la possibilità di controllarla.
Questo per dire che conoscere, o addirittura, dare un nome a qualcosa vuol dire esercitare un potere su di essa, e non solo.
Se ti dicessi che nel primo cassetto a destra della mia cucina si trovano le posate otterrei un effetto diverso rispetto a dire che forchette, coltelli e cucchiai si trovano nel primo cassetto a destra.
Dare un nome specifico a ciascuna posata, crea distinzioni, quindi divide e separa.
Un altro esempio può essere quello dei colori, chi si occupa di grafica ha un “vocabolario” di colori molto più ampio delle altre persone.
Quindi per un grafico non esiste solo il “blu” ma, per esempio, il ceruleo, carta da zucchero, savoia, indaco, elettrico, cadetto, acciaio, polvere, acqua, notte e via così…
Per lui esistono differenze che le persone non hanno, per lui un blu non vale l’altro, alcuni sono più di suo gusto e altri meno.
Implicazioni sociali
Quando, a livello sociale, iniziamo a dare nomi a correnti politiche, preferenze personali o altro otteniamo quindi due effetti.
Il primo è quello di puntare un virtuale occhio di bue su quella realtà, lo portiamo alla luce, lo sveliamo al mondo.
Il secondo è quello di distinguerlo e, di conseguenza, di separarlo dal resto.
Creiamo delle differenze tra quello e il resto.
Credo sia implicita la pericolosità di tutto ciò, è un attimo creare un “noi VS loro” nel momento in cui possiamo dare un nome a “loro”.
Penso quindi che si debba sempre valutare con attenzione la possibilità di darsi un nome o di “reclamarne” uno, perché se è vero che questo può darci un riconoscimento, il rovescio della medaglia è che rischia di far dimenticare che in fondo, siamo tutti “posate”, che noi si sia coltelli o cucchiai, o se preferisci: siamo tutti blu.