Qualche sera fa sono andato a cena con un amico odontoiatra, un suo collega e un altro amico medico e per tutta la cena ho pensato alla frase “di padre in figlio”…
Mi spiego meglio, se no potrebbe sembrare che io sia un po’ fuori di testa.
Malgrado si fosse in una serata tra amici, come al solito si è finito a parlare di lavoro, in varie forme.
Una delle cose che mi ha colpito è stato sentire i due odontoiatri, entrambi giovani di successo con studi molto ben avviati, lamentarsi del fatto che partire senza essere “figli d’arte” è stato per loro un problema.
Mentre loro parlavano ripensavo alle volte in cui proprio i “figli d’arte” o i “padri d’arte” mi hanno parlato delle problematiche legate al passaggio generazionale.
Un quadro d’insieme
Vorrei prenderla un po’ alla larga, l’Italia è un paese fondato… sulle PMI, o meglio ancora sulle microimprese.
In Italia le imprese con meno di 20 addetti sono oltre 4 milioni (pari al 98,2% del totale) e danno lavoro al 56,4% di tutti gli addetti del settore privato presenti in Italia (fonte Eurostat).
Nessun altro Paese dell’Eurozona può contare su una situazione di questo tipo.
Inoltre, molte di queste microimprese sono di tipo famigliare e altre statistiche riportano l’allarmante dato che nei prossimi 5 anni, quasi un’impresa familiare su 5 dovrà affrontare un passaggio generazionale.
Solo il 25% delle imprese sopravvive alla seconda generazione, percentuale che si riduce fino al 15%, alla terza generazione, questo è quanto afferma il Family Firm Institute.
Insomma, “di padre in figlio” non funziona sempre benissimo.
Eppure io continuo a vedere l’avvicendarsi di generazioni differenti come un valore enorme…
Per esempio, un’indagine del Cerif dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha dimostrato che nel 28% dei casi l’imprenditore “in carica” (senior), ha lasciato spazio all’erede (junior) dopo avergli affidato, con buon esito, l’implementazione della trasformazione digitale dell’azienda.
Il valore delle differenze
Ma se ci pensiamo bene, quante volte, andando avanti con gli anni ci è capitato di dire a noi stessi: «Avessi saputo prima queste cose…».
Oppure «Se qualcuno mi avesse spiegato questa cosa quando ero giovane…».
E ancora, «Io con queste diavolerie moderne non riesco proprio a lavorarci…».
Questo è uno dei punti nodali, questo è il vero rovescio della medaglia dello “scontro generazionale”.
Riuscendo a gestire in modo efficace le dinamiche famigliari, risulta lampante quanto l’esperienza del genitore sommata alla dinamicità del figlio possano essere un acceleratore di risultati inarrestabile…
Un tempo si “andava a bottega”, un ragazzo si proponeva come apprendista da un professionista per impararne i trucchi, i piccoli/grandi segreti.
Diventato a sua volta un professionista, scopriva nuove strade e nuovi trucchi per sviluppare un vecchio mestiere.
Quello che mi lascia perplesso è quanto questa cosa risulti difficile per alcuni professionisti sanitari, e quanti benefici potrebbe portare a tutti: pazienti, operatori, mercato, aziende e anche ricerca e sviluppo.
Io ho imparato un sacco di cose da mio padre, che faceva un lavoro molto diverso dal mio, per esempio sulla gestione dei team e sulla comunicazione all’interno delle aziende.
Ma sono certo di avergliene anche insegnate alcune, per esempio sulla sua scrivania c’è un iMac, usa i social e ha scoperto una tardiva passione per la musica…