Oggi ti voglio raccontare una storia che rappresenta un bellissimo esempio del potere del senso di appartenenza e del dovere.
Si tratta di una storia di terroristi, di vittime e di eroi. Una storia che racconta di atti di violenza brutale e cieca, ma anche di atti di coraggio, generosità ed eroismo.
Una storia che racconta anche i miracoli che può fare una cultura aziendale sana e coesa, nella quale le persone appartenenti all’organizzazione, si riconoscano e s’identifichino.
Lo stesso “The Indian Express”, ricorda quei giorni e quegli eventi in un articolo intitolato “Quattordici anni dopo, ricordando gli attacchi terroristici di Mumbai del 26/11.
L’attacco terroristico a Mumbai
Siamo dunque a Mumbai, grande città chiamata Bombay fino al 1995, e situata sulla costa occidentale dell’India.
Il 26 di novembre del 2008 un gruppo di militanti armati irruppe nella città e attaccò una dozzina di località, tra cui un ospedale, una stazione ferroviaria, un ristorante, un centro ebraico e due hotel di lusso, tra cui il Taj Mahal Palace.
L’attacco terroristico fece molte vittime: 66 morti e 300 feriti, molti dei quali gravi.
Il giorno successivo, un commando di 200 uomini proveniente da Nuova Delhi, raggiunse Mumbai per fermare i terroristi e prestare soccorso alle persone ancora rinchiuse al Taj.
Ma, come puoi ben immaginare, nel frattempo successero molte cose, e tra queste molte cose voglio raccontarti in particolare l’attacco al Taj Mahal Palace, che per brevità chiameremo Taj Mumbai.
L’attacco terroristico al Taj
Nel corso dell’attacco terroristico, il Taj Mumbai, per più di 60 ore, fu assediato da quattro militanti pesantemente armati.
Come riporta il suddetto articolo, due dei quattro terroristi, una volta raggiunto l’ingresso principale si diressero verso la lobby, sparando su chiunque vedessero.
Gli altri due terroristi, entrati dalla porta La-Pat del Palazzo, iniziarono a sparare indiscriminatamente contro gli ospiti nell’area a bordo piscina.
I primi a essere uccisi furono quattro stranieri e una guardia di sicurezza insieme al suo cane, un Labrador Retriever.
Verso la mezzanotte del 26 di novembre, la polizia di Mumbai circondò il Taj.
Verso l”una di notte la cupola centrale dell’hotel fu bombardata e scoppiò così un enorme incendio nell’edificio.
L’esercito e i vigili del fuoco riuscirono fortunatamente a operare una prima evacuazione.
Ma anche in questo caso, c’è un’altra storia nella storia e quest’ultima storia che ti voglio raccontare riguarda i comportamenti del personale del Taj Mumbai.
Un altro articolo, comparso sul Harvard Business Review, racconta ancora più “da vicino” ciò che avvenne al Taj in quelle ore e, qui di seguito riporto i fatti e le storie delle persone collegate ai fatti.
Mallika Jagad
I dirigenti della società Uniliver avevano organizzato una cena aziendale al Taj Mumbai proprio per la sera del 26 novmbre.
Mallika Jagad, giovane “banquet manager” di soli 24 anni, guidava 35 dipendenti nell’organizzazione e nella gestione della serata.
Verso 9:30, mentre servivano il piatto principale, sentirono dei forti rumori e inizialmente pensarono fossero fuochi d’artificio, essendo stagione di matrimoni.
Ben presto però si resero conto che qualcosa non andava e, in effetti, quei “botti” erano i primi colpi di arma da fuoco dei terroristi che stavano prendendo d’assalto il Taj.
Un primo atto di eroismo
La giovane Mallika Jagad prese immediatamente in mano la situazione: fece chiudere le porte e spegnere le luci. Chiese a tutti di sdraiarsi sotto i tavoli e di astenersi dall’usare i cellulari. Insistette affinché mariti e mogli si separassero per ridurre il rischio per le famiglie.
Il gruppo rimase lì tutta la notte, ascoltando i terroristi che si scatenavano nell’hotel, lanciando granate, sparando con armi automatiche e facendo a pezzi il posto.
Gli ospiti riferirono poi che il personale del Taj mantenne la calma e, potremmo dire, continuò a lavorare: tutti gli addetti andavano costantemente in giro, offrendo acqua e chiedendo alle persone se avevano bisogno di qualcos’altro.
Quando divampò l’incendio nel corridoio esterno alla sala, il gruppo fu costretto a tentare di arrampicarsi fuori dalle finestre. Una squadra dei vigili del fuoco li vide e, li aiutò a fuggire.
Anche in questa circostanza, il personale diede di nuovo prova di coraggio e senso di responsabilità. Infatti, non si lasciarono prendere dal panico e, invece di fuggire loro per primi, si occuparono di evacuare gli ospiti, tra i quali non ci furono vittime.
Successivamente, Mallika Jagad dichiarò con semplicità: «Era una mia responsabilità… forse ero la persona più giovane nella stanza, ma stavo ancora facendo il mio lavoro”.
Se tu volessi sentire la storia dalla sua viva voce, ti suggerisco di vedere il suo speech su Ted.com.
Thomas Varghese
Un operatore dell’albergo chiamò il Wasabi, uno dei ristoranti dell’hotel, per avvertire il personale che i terroristi erano entrati nell’edificio e si stavano dirigendo proprio verso il ristorante.
All’epoca Thomas Varghese aveva 48 anni ed era il cameriere anziano del Wasabi.
Proprio come la sua collega Mallika Jagad, ordinò ai suoi 50 ospiti di accovacciarsi sotto i tavoli e ai dipendenti di formare un cordone umano attorno a loro.
Quattro ore dopo, gli uomini della sicurezza chiesero a Varghese se poteva far uscire gli ospiti dall’albergo.
Varghese decise di utilizzare una scala a chiocciola collocata vicino al ristorante per evacuare prima i clienti e poi il personale dell’albergo.
Thomas Varghese, veterano del Taj da 30 anni, volle essere l’ultimo uomo ad andarsene, ma purtroppo non ci riuscì. I terroristi lo uccisero mentre raggiungeva il fondo della scala.
Karambir Singh Kang
Karambir Singh Kang, era il direttore generale del Taj Mumbai e, al momento dell’attacco stava partecipando a una conferenza in un’altra proprietà del Taj.
Non appena fu informato dei fatti, lasciò immediatamente la conferenza, tornò in hotel e prese in mano la situazione.
Il direttore generale del Taj, tradizionalmente vive in una suite al sesto piano. Al momento dell’attacco la moglie e i due bambini piccoli di Kangsi si trovavano lì e morirono durante l’attacco.
Nonostante la sua tragedia personale, il direttore generale del Taj guidò i soccorsi fino a mezzogiorno del giorno successivo.
Solo allora chiamò i suoi genitori per dire loro che i terroristi avevano ucciso sua moglie e i suoi figli.
Suo padre, un generale in pensione, gli disse: “Figliolo, fai il tuo dovere. Non disertare il tuo posto”. Kang rispose: “Se (l’hotel) va giù, sarò l’ultimo uomo a uscire”.
Anche in questo caso, se vuoi sentire la sua storia dalla sua viva voce, guarda il questo video su You Tube, video nel quale ricorda in prima persona quei tre terribili giorni.
Hemant Oberoi
Hemant Oberoi, Executive Chef del Taj Mahal Palace, mise consapevolmente a rischio la sua stessa vita per salvare quella degli ospiti.
Durante l’attacco, radunò il suo staff e disse loro che c’era una via di fuga per lo staff, ma che gli ospiti sarebbero rimasti intrappolati nell’albergo da soli.
Dette a ognuno la possibilità di scegliere se rimanere o se andarsene. Per sé stesso, evidentemente, aveva giù deciso. La quasi totalità dello staff decise a sua volta di rimanere.
In un’intervista Oberoi afferma:
«Quello che abbiamo imparato è che l’ospite è Dio e che chi viene a casa tua, per noi è come Dio. Dobbiamo proteggere le loro vite. Farlo è un dovere morale».
Nella stessa intervista Oberoi racconta gli eventi di quella notte in modo piuttosto dettagliato.
Come Mallika-Jagad, anche lui fece immediatamente chiudere le porte e spegnere le luci.
Per tutto il tempo, Oberoi e il suo staff si prodigarono per fornire agli ospiti qualsiasi cosa desiderassero.
Lui stesso dice:
«Portavamo agli ospiti tutto quello che volevano. Abbiamo fornito cibo fino alle 2:30 del mattino. All’una e mezza, per tenerli motivati, mi sono messo a fare panini per tutti. Quando i più giovani hanno sentito che lo chef stava preparando panini, sono venuti tutti ad aiutare»
Radunarono gli ospiti, provenienti da diverse zone dell’hotel, nella Chambers Lounge.
Oberoi riteneva che questa fosse in quanto era nell’ala nuova, mentre i terroristi si trovavano nell’ala vecchia, e in qualche modo erano riusciti a bloccare i passaggi tra l’ala vecchia e quella nuova.
Il feedback degli ospiti del Taj
Durante l’attacco terroristico al Taj, 31 persone vennero uccise e altre 28 rimasero ferite.
Nonostante ciò, l’hotel ricevette solamente encomi, da parte degli ospiti e poi della stampa, per il comportamento, la dedizione al dovere e l’eroismo di tutti i suoi dipendenti.
Tutti rimasero ai loro posti e si prodigarono per proteggere gli ospiti, mettendo a rischio la propria stessa vita.
Tanto è vero che, a questo proposito, l’articolo della Harvard Business Review recita:
Il personale del ristorante e dei banchetti ha portato le persone in luoghi sicuri come cucine e scantinati.
Gli operatori telefonici sono rimasti ai loro posti, avvisando gli ospiti di chiudere a chiave le porte e di non uscire.
Il personale della cucina ha formato scudi umani per proteggere gli ospiti durante i tentativi di evacuazione.
Ben 11 dipendenti del Taj Mumbai, un terzo delle vittime dell’hotel, hanno dato la vita aiutando tra i 1.200 e i 1.500 ospiti a fuggire.
Le cultura aziendale
Il comportamento eroico dimostrato dai dipendenti del Taj Mahal Palace non riguardò solo i vertici aziendali, ma tutto lo staff, a partire dalle persone che ricoprivano le posizioni più umili.
Di conseguenza, viene naturalmente da pensare che questi comportamenti non siano frutto del caso, ma siano invece la testimonianza dell’eccezionale cultura organizzativa del Taj.
La cultura aziendale ha a che fare con cose come la Vision, la Mission e i Valori aziendali, in base ai quali vengono prese le decisioni che governano la vita dell’organizzazione.
Insomma, un insieme predefinito di principi, pratiche e comportamenti su cui funziona un’azienda o una qualsiasi organizzazione.
A riprova di ciò, non è un caso che gli eventi legati all’attacco terroristico all’hotel e la risposta comportamentale dello staff, siano divenuti un caso di studio presso la Harvard Business School, come evidenziato dall’articolo sopra riportato.
Le cultura aziendale del Taj
Tanto per cominciare, il Taj prevede programmi formativi della durata di ben 18 mesi.
Prevede inoltre delle sessioni di debriefing settimanali che includono sempre una discussione su “Cosa ho imparato questa settimana”, favorendo così il miglioramento continuo.
Ma, soprattuto, offre una grande e profonda chiarezza in fatto di valori.
La centralità del cliente
Il valore fondamentale alla base della cultura organizzativa del Taj è la centralità del cliente. Il personale sa perfettamente di dover rappresentare il cliente prima ancora dell’hotel. O, per meglio dire, il personale sa che, per poter adeguatamente rappresentare l’hotel, deve in primo luogo rappresentare il cliente.
Infatti, come abbiamo già avuto modo di notare, Hemant Oberoi ripete in numerose interviste «Il cliente è Dio».
Questa chiarezza in fatto di valori aumenta l’efficienza e l’efficacia di tutti i processi aziendali e, in modo particolare, del processo decisionale.
In un articolo precedente abbiamo visto che una delle caratteristiche delle Organizzazioni Altamente Performanti, è proprio l’avere poche regole chiare tra le quali devono esistere grandi spazi liberi nei quali il personale possa auto-organizzarsi e autodeterminarsi.
Non ultimo, c’è da dire che evidentemente la dirigenza del Taj è riuscita a condividere e ad allineare profondamente tutto il personale alla visione aziendale.
Vision, mission e valori in questo caso non sono parole scritte su un pezzo di carta appeso al muro e poi dimenticate, ma sono invece chiare nelle menti dello staff, radicate nei loro cuori e tradotte nel loro agire quotidiano.
La leadership
Sempre il nostro ormai ben noto Hemant Oberoi, nella suddetta intervista dice alla giornalista:
«Vedi, come team leader non puoi permetterti di andare nel panico. Se ti lasci prendere dal panico, l’intero team si lascerà prendere dal panico. E io ho un tremendo rispetto per l’intero Team del Taj»
Il leader come esempio e il concetto di leadership come “essere al servizio di…”.
Non è un caso che l’executive chef in prima persona sia andato a preparare i panini in piena notte e in una situazione d’emergenza. Non ha chiesto ad altri di farlo, è andato lui in prima persona.
Il Team
«Io ho un tremendo rispetto per l’intero Team del Taj. Sia che si trattasse del servizio, sia che si trattasse delle pulizie, sia che si trattasse della cucina e di altre aree, lavoravano insieme come una squadra solida e qualsiasi cosa fosse richiesta dagli ospiti, la portavano da qualsiasi luogo […]
Loro (lo staff) avevano una scelta, avrebbero potuto andarsene. La strada è a soli venti secondi di distanza, quattordici gradini e sei sulla strada. Non se ne sono andati! Non se ne sono andati! […]
La mia stessa segretaria, è stata lì fino alle 3 del mattino con me, stava curando la ferita di una signora che era venuta con ferite da Leopold […]
Il mio Sous Chef, con un proiettile nello stomaco, mi mandava ancora messaggi.»
Credo che queste parole siano sufficienti a rendere l’idea e non necessitino di ulteriori commenti.